Qualche considerazione sul calcio
Mi accosto all’argomento calcio con qualche apprensione. E’ molto difficile parlarne senza incappare nelle esagerazioni tipiche dei tifosi, quelli che proprio non riescono a discuterne rinunciando alla cartina tornasole del proprio tifo che tutto testa e filtra acriticamente (avrei potuto scrivere più facilmente a proposito di “fette di salame sugli occhi” ma a volte amo essere complicato).
Invece la mia intenzione è di esporre alcune mie considerazioni che prescindono del tutto dal tifo per una o l’altra squadra; quantomeno ci proverò.
Per cominciare, sono cresciuto come la maggior parte degli individui della mia età a pane e pallone.
Trascorrevo i pomeriggi nel giardino sotto casa con gli amici a giocare: alberi e cespugli fungevano da pali della porta, erba non ce n’era, bambini della mia età tanti perché eravamo della generazione del baby-boom.
Di pedofili non si parlava, ovviamente la mamma ogni tanto dava un’occhiata dalla finestra del salotto per controllare che tutto fosse a posto ma mandare i propri figli ai giardini da soli a giocare era cosa normale.
Non avrei potuto concepire modo migliore per passare il tempo libero.
La domenica era trascorsa seguendo le partite, il lunedì a parlarne con i compagni di scuola.
Chi teneva il Milan come me, chi l’Inter o la Juventus, c’era comunque rispetto per l’avversario e quando i giocatori dell’una o dell’altra squadra vestivano la maglia azzurra della nazionale il tifo era unificato.
Da milanista, ho sofferto gli anni cupi della serie B poi le gioie dei trionfi della fine anni ’80, ’90 e del nuovo millennio.
Ho trascorso pomeriggi e serate allo stadio a gridare, cantare, qualche volta imprecare.
Insomma, senza esasperazioni, ma l’ho vissuta per un bel po’.
Poi …
Negli ultimi anni, il giocattolo si è per me rotto in modo irreparabile.
Si sono succeduti una serie di scandali di doping e scommesse, molti passati sotto quasi totale silenzio; c’è stata Calciopoli che è stata uno “scandalo nello scandalo”; ci sono state società precedentemente definite “simpatiche” che si è scoperto si finanziavano in modo sporco; alcune sono state fatte sparire, altre sono state graziate per motivi non sempre chiari né, quando dichiarati, condivisibili.
La figura del calciatore si è trasformata in un miscuglio di “celebrità-superuomo-puttaniere” quasi insopportabile.
Giocatori che giurano fedeltà eterna ad una maglia e l’anno dopo chiedono ed ottengono il trasferimento per una milionata di euro in più, ripetendo il giuramento senza vergognarsi, poi fanno parlare di sé più per il numero di veline/letterine/ecc. con cui si accoppiano che per le loro prestazioni sportive, salvo proclamare a ripetizione di essere professionisti – dimenticandosene immancabilmente una volta firmato il contratto.
Giocatori con contratti da 8-10 milioni di euro netti all’anno che sono insofferenti ad entrare in campo e si dichiarano tristi della loro condizione, o che si scocciano se vengono criticati anche se hanno giocato malissimo.
Trasmissioni televisive un giorno sì e l’altro pure, con giornalisti-ultras faziosi ed ex-calciatori (molti dei quali mediocri, quando non scarsi, quando giocavano) nominati opinionisti a sputare sentenze sui loro colleghi.
La Nazionale contaminata dalle polemiche di tutto un campionato, sempre meno affascinante e oramai priva della capacità di unificare gli appassionati.
Insomma, a me questo calcio non piace più.
Per qualcuno è e resta una fede, io mi chiamo fuori.
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